In Italia l’età media per una prima gravidanza (voluta e cercata) si aggira tra i 28 e i 31 anni. I dati “lamentano” che nel nostro Paese l’età delle primipare (chi partorisce per la prima volta) sia troppo avanzata rispetto alle nostre coetanee europee. I dati però non tengono in considerazione le difficoltà economiche e sociali delle donne di oggi: la mancanza di stabilità economica inficia sulla stabilità di coppia (gli equilibri emotivi di coppie over30/40 sono più delicati di un tempo) e sulla salute dei partner (le difficoltà economiche aumentano la scarsa attenzione verso uno stile di vita sano accentuando le probabilità di infertilità).
Quando, nel 2013, iniziai a lavorare alle mie ricerche sulla ciclicità femminile e ad offrire consulenze nel campo della consapevolezza ciclica lavoravo prevalentemente con donne in cerca di una gravidanza: molte avevano vissuto un aborto spontaneo – a volte più di uno – oppure si trovavano in una situazione di stallo in quanto ai compagni avevano diagnosticato una oligosperima (quantità di spermatozoi inferiore al normale). Spesso si pensa che il “problema” riguardi solo la donna, in quanto parlare di infertilità maschile è ancora un grande tabù, eppure esistono casistiche che dimostrano che sempre più uomini soffrono di oligosperima o di asperima (mancanza completa di spermatozoi attivi).
Lavorando su più fronti grazie a professionisti quali nutrizionisti, omeopati, andrologi e ginecologi abbiamo sbloccato molte situazioni di “stallo”. Non tutto è risolvibile grazie ad un lavoro di gestione psicoemozionale come quello che propongo, ma in molti casi sentirsi libere di esternare il disagio, in un luogo sicuro, può innescare il processo di risoluzione desiderato.
In quasi dieci anni di sostegno per chi cerca di diventare madre, ho capito che è necessario partire dal ridefinire (a livello simbolico) cosa rappresenti la gravidanza e cosa significhi la maternità. Non ti stupirà sapere che per ognuna di noi il significato è diverso: desiderare una gravidanza ed essere pronte accogliere la maternità nella propria vita possono sembrare esperienze consequenziali, ma non sempre è così. L’idea che abbiamo della maternità, infatti, si scontra con l’esempio familiare, con condizionamenti sociali e con stereotipi di genere ancora “duri a morire”.
Mi capita a volte di lavorare con donne che cercano di soddisfare un bisogno senza rendersi conto della responsabilità che implica la maternità. Troppo spesso, infatti, la pressione sociale ci spinge a muoverci in modi impulsivi, solo per liberarci dall’angoscia di dover dimostrare qualcosa a qualcuno. O peggio, fin da piccole interiorizziamo un’ideale di maternità “perfetta” (cioè tossica) completamente avulso dalla realtà.
Quando una donna desidera una gravidanza, senza la consapevolezza della maternità, significa che sta cercando di dar vita a una nuova se stessa. Sta tentando di costruirsi un’identità che sia in equilibrio tra la propria personalità e la società in cui vive. A volte ci riesce autonomamente, ma nella maggior parte dei casi gli esiti sono complessi e richiedono un sostegno mirato con il supporto di più professionisti.
Altre volte, desiderare una gravidanza può essere un modo per esprimere la propria creatività. La nostra genitorialità, infatti, è uno dei tanti modi in cui possiamo dare voce alla creatività: in questi casi cercare una gravidanza significa esprimere la propria visione creativa in modo sicuro, controllato e conosciuto.
Ovviamente esistono molti casi in cui il desiderio di una gravidanza è equilibrato con quello di diventare madre, ma è necessario che la ricerca non diventi un’ossessione che può inficiare la serenità di coppia.
In qualsiasi caso, chiunque cerchi di vivere quest’esperienza si troverà di fronte alla necessità di equilibrare la “madre interiorizzata” (cioè basata sull’esempio di nostra madre e della nonna materna) con la “madre idealizza” (cioè creata su parametri socialmente accettabili). Inoltre, verrà messa in gioco la nostra idea di femminilità che non sempre corrisponde all’idea che la società ha di ciò che dovrebbe o no essere considerato “femminile”. Infatti in questi ultimi anni mi trovo sempre più spesso a lavorare con coppie del mondo LGBT+ e questo cambia il modo di concepire la maternità e la “femminilità” in generale.
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